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01 giugno 2015

c'è un tempo

C’è un punto morto nella notte, dove fa più freddo e il tempo più nero, dove il mondo ha dimenticato la sera e l’alba non è ancora una promessa. Un tempo in cui è troppo presto 
per alzarsi, ma così tardi per andare a letto.

Robin Hobb

Altrettanto c'è un punto morto nella notte della vita, dove solo il silenzio può e deve farti compagnia.
Dove il mondo dimentica e ignora la sera di qualcuno e l'alba è la promessa di una vita futura che tarda ad arrivare.
Un tempo in cui è inutile tentare di rialzarsi, ma è tardi, troppo tardi per cancellare la stanchezza del vivere.

03 aprile 2015

PASQUA: PERDONO E RISURREZIONE



Tutti sanno cosa significhi Pasqua sia per i cristiani che per gli ebrei: è il giorno 
della risurrezione di Cristo, della salvezza del popolo eletto dalla schiavitù. Essa conferma 
la  nostra  immortalità  spirituale  e  prefigura  anche  quella  futura  del  corpo.  In  
quest’anno giubilare  assume,  però,  un  significato  particolare,  ed  è  quello  della  
riscrittura  di  un nuovo capitolo di storia, che, salvando la buona fede dei nostri antenati,
 ne purifichi  la memoria alla luce del messaggio evangelico.  
Cristo  è anche misura del tempo nella storia, e questa va riconsiderata con coraggio. 
In tale contesto, visti i limiti umani disegnati da errori soggettivi e oggettivi, senza la 
presunzione di emettere giudizi di condanna (che non spettano a noi), occorre però un 
umile atto di richiesta di perdono che va espressa con estrema sincerità della mente e del 
cuore. Varie sono le interpretazioni di questo atteggiamento dello spirito. 
Il perdono non è un semplice rito, ma ha bisogno di un seguito di azioni improntate a 
un serio cambiamento di rotta e di scelte. 
Perdono da chiedere ai poveri perché non sono stati sempre aiutati ad autoriscattarsi. 
Perdono  per  i  silenzi  (o,  peggio,  delle  connivenze)  nei  confronti  delle  
ingiustizie sociali e politiche. 
Perdono per i tanti emarginati, compresi i sacerdoti  e quelli non più ufficialmente 
tali. 
Perdono  per  non  essersi  sempre  schierati  a  favore  degli  ultimi,  privilegiando 
un’equidistanza che ricorda tanto quella di Ponzio Pilato. 
Perdono è non confondere il servizio (ministerium) col semplice esercizio del potere 
(potestas). 
Perdono per non aver sempre riconosciuto la buona fede del prossimo “diverso”. 
Perdono per non aver sempre dato una speranza a chi soffre o punti di riferimento 
chiari ai giovani, spesso abbandonati a se stessi. 
Perdono  per non aver spesso esercitato la pratica della dimenticanza. 
Perdono  per  non  aver  sempre  ammesso  gli  errori  della  discriminazione  e 
dell’esclusione. 
Perdono per non aver invitato a un colloquio fraterno chi è stato  demonizzato. 
Perdono per non averlo chiesto prima e soprattutto per i propri sbagli e poi per quelli 
degli altri. 
Perdono  per  non  aver  accettato  i  carismi  presenti  negli  altri  e  non  averli  
aiutati  a svilupparsi in vita e non post mortem. 
Perdono per aver talora programmato la croce al prossimo, senza sapere che la croce 
viene  di  per  sé  dalla  condizione  umana  e  perciò  non  va  organizzata  neanche 
lontanamente.  
Perdono per aver pensato più allo spettacolo che alla sostanza dei propri gesti. 
Perdono per il non sufficiente amore accordato a chi è vissuto in solitudine. 
Perdono che non deve essere un atto di ipocrisia ma di schietta e spontanea e onestà. 
Qualche decennio fa ho scritto due libretti dal titolo La Chiesa della Risurrezione e  
Cristianesimo e Vita. Alla luce di quanto credevo allora (e credo tuttora), la Chiesa, a 
mio giudizio ma anche a quello di tanti altri, dovrebbe essere veramente il luogo della 
vita,  della  gioia,  della  giustizia,  della  vera  fraternità,  dell’umile  ricerca,  del  dialogo 
attento, del silenzio che si fa ascolto e preghiera, insomma un segno della “continua” 
risurrezione. Se non è testimone concreta di questo, dove abita allora il Cristo, dove si 
manifesta il  suo volto di Salvatore? 
Questo  per  me  significa  Pasqua,  un    momento  cioè  di  presa  di  coscienza  con  
la dovuta domanda di perdono in vista di un cammino più profetico lungo i sentieri della 
storia. 



                            Nicola Michele Campanozzi 

30 marzo 2015

Cogli questo piccolo fiore

Questa poesia mi ha sorpresa e l'ho riletta sgranando gli occhi perché credevo fosse un mio vecchio scritto; ovvio che non può esserlo.
Ma ciò dimostra che le affinità esistono e Tagore è un autore che leggo molto volentieri.



Cogli questo piccolo fiore e prendilo.
Non indugiare!
Temo che esso appassisca
e cada nella polvere.

Non so se potrà trovare posto
nella tua ghirlanda,
ma onoralo
con la carezza pietosa della tua mano
e coglilo.

Temo che il giorno finisca
prima del mio risveglio
e passi l’ora dell’offerta.

Anche se il colore è pallido
e tenue è il suo profumo
serviti di questo fiore finché c’è tempo
e coglilo.

           Rabindranath Tagore

17 febbraio 2015

carnevalesca-mente


In questi ultimi tempi ho accumulato tanta stanchezza nella mente e nelle ossa che me ne starei molto volentieri in ozio.
Insomma oggi, rispolverando un vecchio detto (forse inteso male), sono un "carnevale".
Domani mi cospargerò il capo di cenere :(


La parola CARNEVALE deriva dal latino " carnem levare "(eliminare la carne ) che anticamente indicava il banchetto che sì teneva l'ultimo giorno di carnevale (martedì grasso), subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima.

Il Carnevale,  era il trionfo di una sorta di liberazione temporanea della verità dominante e dal regime esistente, l'abolizione provvisoria di tutti i rapporti gerarchici, dei privilegi, delle regole e dei tabù. Era l'autentica festa del tempo, del divenire, degli avvicendamenti e del rinnovamento. Si opponeva ad ogni perpetuazione, ad ogni carattere definitivo e ad ogni bene.
(Michael Bachtin)

Durante il Carnevale, l'uomo mette sulla propria maschera una maschera di cartone.
(Xavier Forneret)


Verso la fine della vita  Tutti si tolgono la maschera. 
Allora si vede chi erano veramente .
(Arthur Schopenhauer)



30 gennaio 2015

I GIORNI DELLA MERLA

Con l'espressione “Giorni della Merla” siamo soliti identificare le tre giornate più fredde dell'anno che, secondo la tradizione, cadono il 29, 30 e 31 gennaio. Si tratta di una tradizione che non ha una provenienza accertata. Per alcuni questa espressione ha avuto origine da un leggendario episodio in cui una merla di colore bianco con i suoi piccoli uccellini, per ripararsi dal grande freddo si rifugiò in un camino e, quando venne fuori il 1° febbraio, era tutta nera, completamente ricoperta di fuliggine. Afferma la leggenda che, da quel giorno, tutti i merli furono neri.
Esiste un'altra leggenda, che ha sempre come protagonista una merla completamente bianca e la personificazione di Gennaio, freddo e gelido.
Gennaio era un mese un po' dispettoso, perché si divertiva a ricoprire il terreno di neve e gelo non appena la merla si decideva a mettere il becco fuori dalla tana per procurarsi del cibo. Stufa di questi scherzi, un anno la merla decise di raccogliere molto cibo, in modo da resistere per un mese intero chiusa nella sua tana. Gennaio, che fino a quel momento durava solo 28 giorni, si indispettì e per punire la merla, aggiunse tre giorni al suo mese e fece scendere sulla Terra il freddo, accompagnato da neve e vento. Presa alla sprovvista, la merla trovò un rifugio di fortuna in un camino e, terminati i tre giorni, ne uscì tutta nera. E fu così che i merli divennero tutti neri.

Insomma, esistono molte spiegazioni per un'espressione usata comunemente nella lingua italiana.

merlo bianco
                   


27 gennaio 2015

il giorno della memoria



Dal diario di Anna Frank
Così scriveva Anna pochi giorni prima che i tedeschi irrompessero nell' alloggio segreto....
15 luglio 1944
..."Ecco la difficoltà di questi tempi: gli ideali, i sogni, le splendide speranze non sono ancora sorti in noi che già sono colpiti e completamente distrutti dalla crudele realtà. È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’ intima bontà dell’uomo. Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione. Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte il rombo l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità. Intanto debbo conservare intatti i miei ideali; verrà un tempo in cui forse saranno ancora attuabili.
la tua Anna"
Ecco, nonostante tutto, riuscire a guardare il cielo e sperare che la durezza e la stupidità umana possano cessare...