" L'unico tiranno che accetto in questo mondo è la voce silenziosa dentro di me "- Gandhi
03 aprile 2015
PASQUA: PERDONO E RISURREZIONE
Tutti sanno cosa significhi Pasqua sia per i cristiani che per gli ebrei: è il giorno
della risurrezione di Cristo, della salvezza del popolo eletto dalla schiavitù. Essa conferma
la nostra immortalità spirituale e prefigura anche quella futura del corpo. In
quest’anno giubilare assume, però, un significato particolare, ed è quello della
riscrittura di un nuovo capitolo di storia, che, salvando la buona fede dei nostri antenati,
ne purifichi la memoria alla luce del messaggio evangelico.
Cristo è anche misura del tempo nella storia, e questa va riconsiderata con coraggio.
In tale contesto, visti i limiti umani disegnati da errori soggettivi e oggettivi, senza la
presunzione di emettere giudizi di condanna (che non spettano a noi), occorre però un
umile atto di richiesta di perdono che va espressa con estrema sincerità della mente e del
cuore. Varie sono le interpretazioni di questo atteggiamento dello spirito.
Il perdono non è un semplice rito, ma ha bisogno di un seguito di azioni improntate a
un serio cambiamento di rotta e di scelte.
Perdono da chiedere ai poveri perché non sono stati sempre aiutati ad autoriscattarsi.
Perdono per i silenzi (o, peggio, delle connivenze) nei confronti delle
ingiustizie sociali e politiche.
Perdono per i tanti emarginati, compresi i sacerdoti e quelli non più ufficialmente
tali.
Perdono per non essersi sempre schierati a favore degli ultimi, privilegiando
un’equidistanza che ricorda tanto quella di Ponzio Pilato.
Perdono è non confondere il servizio (ministerium) col semplice esercizio del potere
(potestas).
Perdono per non aver sempre riconosciuto la buona fede del prossimo “diverso”.
Perdono per non aver sempre dato una speranza a chi soffre o punti di riferimento
chiari ai giovani, spesso abbandonati a se stessi.
Perdono per non aver spesso esercitato la pratica della dimenticanza.
Perdono per non aver sempre ammesso gli errori della discriminazione e
dell’esclusione.
Perdono per non aver invitato a un colloquio fraterno chi è stato demonizzato.
Perdono per non averlo chiesto prima e soprattutto per i propri sbagli e poi per quelli
degli altri.
Perdono per non aver accettato i carismi presenti negli altri e non averli
aiutati a svilupparsi in vita e non post mortem.
Perdono per aver talora programmato la croce al prossimo, senza sapere che la croce
viene di per sé dalla condizione umana e perciò non va organizzata neanche
lontanamente.
Perdono per aver pensato più allo spettacolo che alla sostanza dei propri gesti.
Perdono per il non sufficiente amore accordato a chi è vissuto in solitudine.
Perdono che non deve essere un atto di ipocrisia ma di schietta e spontanea e onestà.
Qualche decennio fa ho scritto due libretti dal titolo La Chiesa della Risurrezione e
Cristianesimo e Vita. Alla luce di quanto credevo allora (e credo tuttora), la Chiesa, a
mio giudizio ma anche a quello di tanti altri, dovrebbe essere veramente il luogo della
vita, della gioia, della giustizia, della vera fraternità, dell’umile ricerca, del dialogo
attento, del silenzio che si fa ascolto e preghiera, insomma un segno della “continua”
risurrezione. Se non è testimone concreta di questo, dove abita allora il Cristo, dove si
manifesta il suo volto di Salvatore?
Questo per me significa Pasqua, un momento cioè di presa di coscienza con
la dovuta domanda di perdono in vista di un cammino più profetico lungo i sentieri della
storia.
Nicola Michele Campanozzi
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