Sto tentando di bloccare l’ondata di tristezza che lentamente mi si rovescia addosso.
Non chiedermi perché lo faccio, non chiedermi perché la sento arrivare.
So che è lì, pronta a sommergermi, a rovesciarmi, a trascinarmi via nel vortice di sabbia, acqua, detriti.
Tento di aggrapparmi a qualcosa, un tentativo disperato per non cedere.
E questo cielo scuro, questo grigio che penetra nell’anima insieme con il gelo di questo giorno di gennaio, sono la tela e i colori di un quadro che dipingo con pennellate dell’anima.
Sono tentata di cedere completamente, forse mi farà bene, forse troverò nuove energie.
Pigramente mi alzo, scosto le tende, uno sguardo distratto ai passanti, al cielo livido, ai rami di pino che ondeggiano lenti.
C’è tanto silenzio intorno, solo una gatta in amore miagola nascosta in giardino; anche i miei passi sono leggeri, sembro scivolare per casa. Mi sorprendo ad osservare un’immagine allo specchio, non la riconosco, non sono io, non so chi sia.
Oppure sono le mie sembianze vere, quelle che normalmente non vedo.
Ma quegli occhi così pensosi, così improvvisamente scuri e profondi mi fanno un certo effetto, mi scrutano a fondo, ne ho quasi timore.
Distolgo lo sguardo, accendo lo stereo e, a volume bassissimo, ascolto gregoriano.
Mi metto in poltrona, mi ricopro di musica…
Sento salire qualcosa alla gola, il cuore sembra stia per esplodere, le gambe e le braccia non mi appartengono più; chiudo gli occhi e scivolo via con la musica, consapevole che questo senso di spossato benessere sarà anche troppo breve.